E’ il 21 maggio 2015, una giornata piuttosto uggiosa. Avremmo potuto desistere dall’andar per boschi, ma il richiamo della foresta ha vinto la pigrizia e ogni resistenza per lasciar posto ad una passeggiata tonificante, per il corpo e per la mente.

Le gocce di pioggia che lambiscono le foglie si uniscono formando infiniti rivoli che si apprestano a raggiungere il substrato da dissetare. Il buon odore della terra bagnata gratifica l’olfatto lasciandoci andare a sensazioni positive. Sono ormai ricordi lontani le corse quotidiane e gli affanni della città. Un percorso di forte vibrazione emozionale che lascia spazio all’immaginazione.

Non molto distanti da noi sono le pitture rupestri di Serra Pisconi, importanti testimonianze della presenza di cacciatori di cervidi nella lontana era mesolitica.

All’orizzonte, il castello federiciano di Lagopesole e la sagoma crateriforme del Monte Vulture ci riportano alle antiche battute di caccia di Federico II di Svevia e alle attività vulcaniche dell’età pleistocenica, da cui ha avuto origine la formazione di un suolo fertile per una vegetazione rigogliosa e variegata.

Siamo nel bosco ceduo della Bufata, una cerreta termofila del territorio di Atella (PZ). Con noi due alleati a quattro zampe, Stella e Scilla. A far da Cicerone l’instancabile Antonio che ci ha accolto come vecchi amici con un buon caffè e con i profumati “calzoncelli” preparati con cura dalla mamma.

Le piogge primaverili, associate alle temperature alternativamente troppo alte o troppo basse dell’ultimo periodo, le giornate ventose, non hanno favorito una significativa comparsa di funghi epigei. Anche il sottosuolo ha temporaneamente sopito la propria vitalità. Stella e Scilla, tuttavia, non si sono fatte ingannare dalla tanatosi e col naso rasente il suolo non hanno titubato; la loro sensibilità olfattiva ci ha regalato alcuni ascocarpi di Tuber aestivum.

Timide presenze di boleti e di amanite stanno rivelando l’imminente risveglio della fertilità micoproduttiva del bosco. Ecco alcuni Boletus queletii che affiorano mimetizzandosi con il letto di foglie morte rivenienti dalla stagione invernale ormai lontana. Sporadici carpofori di Amanita vaginata spuntano dalla tenace crosta del suolo. Manca il coraggio di asportare i basidiomiceti per analizzarne le componenti macroscopiche e così, per aiutarsi nella determinazione della specie, si fa ricorso alle tecniche più disparate perché possa risultare agevolata la visualizzazione delle caratteristiche morfocromatiche apparentemente celate. Spunta dallo zaino uno specchietto che opportunamente posizionato sotto il cappello della boletacea rivela l’imenoforo a pori aranciati, tipico della sezione dei luridi. Una spennellata di rosso barbabietola alla base dello stipite e il viraggio della carne al blu-verde dopo un lieve trauma da taglio, ne rivelano la specie.

Il colore biancastro e madreperlaceo della cuticola della Amanita ci ha inizialmente ingannato orientandoci verso un possibile agarico, ma il bordo del cappello presentava una leggera striatura. Con il metodo dello specchietto si è potuto appurare che le lamelle, nonostante il diametro del cappello fosse superiore ai cinque centimetri, si presentavano candide. Non solo, a differenza dei prataioli esse si palesavano “libere” al gambo. Lo stipite non presentava l’anello e, infine, alla sua base era presente un’avvolgente sacca membranacea, testimonianza di un primordiale velo generale ormai lacerato.

Stimolati dagli inaspettati ritrovamenti abbiamo proseguito sul nostro cammino, incantati dalle dissertazioni di Gianfranco che, come un guru induista, ci invita ad usare tutti i sensi per assaporare le bellezze della natura. Ecco, quindi, che al nostro orecchio si materializzano i “vocalizzi” della Cinciarella (Parus caeruleus) e i richiami sonori del Luì (Phylloscopus collybita). Gianfranco conversa con noi citando con naturalezza nomi scientifici di fiori, piante, sauri. Apprendiamo di aver incontrato piante come l’elleboro (Helleborus viridis) e il Corinoli dentato (Smyrnium perfoliatum), sauri come la luscengola (Chalcides chalcides) e quando si è raccolto un grosso guscio di chiocciola, il “maestro”, pronto, ci spiega trattarsi di un mollusco gasteropode del genere Cepaea .

Ecco altri boleti, questa volta più slanciati, imenoforo e gambo di colore giallo, scabrosità concolori sul gambo. Odore grato e carne che al taglio presenta un lieve viraggio prima al rosa, poi al grigio. Cappello color nocciola con superficie martellata. Sono Leccinum lepidum.

Dulcis in fundo giungiamo ad una piccola stazione di orchidee della specie Orchis pyramidalis e, con grande stupore, una farfalla si posa sul pinnacolo floreale e, lasciandosi cullare dal vento, ci invita a fotografarla.

Una breve sosta presso un fontanile dove assaporiamo un’acqua fresca, cristallina e gradevolmente effervescente. I saluti ed il rientro a casa con la promessa di rivederci ancora. Grazie Antonio. Grazie A.S.C.I.L.!

A cura di Patrizia Lionetti