in particolare all’art. 2, punto 1 “lettera e”, che prevede tra i tartufi destinati al consumo da freschi o da conservati anche i cosiddetti tartufi minori (Tuber himalayensis, Tuber indicum e Tuber sinense), si esprimono alcune considerazioni di ordine generale:

  1. Trattasi di specie di Tuber caratterizzate da rapido accrescimento miceliare e notevole rusticità (quindi dotate di elevata capacità invasiva);
  2. Il loro utilizzo per la commercializzazione allo stato fresco e trasformato favorirebbe, certamente, la diffusione, nel territorio boschivo italiano, delle relative spore che finirebbero sicuramente negli scarti alimentari e di lavorazione. Tali residui costituirebbero, infatti, un potenziale e pericoloso inoculo che potrebbe avviare, in natura, una graduale e progressiva sostituzione delle specie autoctone più pregiate di Tuber (T. melanosporum, T. brumale e T. brumale var. moschatum) con quelle sopra menzionate.
  3.  Il loro uso come specie micorrizogene, per le stesse ragioni di cui al punto 2., sarebbe ancora più irrazionale perché farebbe aumentare la velocità con cui i tartufi cinesi, “evadendo” dalle tartufaie coltivate, grazie all’opera dei vettori animali (insetti, topi, cinghiali, etc.) e alle lavorazioni superficiali del terreno, colonizzerebbero le stazioni di crescita naturale dei tartufi neri pregiati presenti sul territorio nazionale.

N.B. Per maggiori informazioni sul Tuber indicum consultare “Funghi Ipogei d’Europa” A.M.B. Trento (di A. Montecchi e M. Sarasini) (2000) e/o “Umbria Terra di Tartufi” della Regione Umbria e Gruppo Micologico Ternano (di B. Granetti et al.)(2005).



 

Mercoledì, 02 Ottobre 2013

Riporto un articolo, appena segnalatomi dal prof. Gian Luigi Rana, in cui già nel 2008 si discuteva del pericolo costituito dai tartufi cinesi.

Tartufo: allarme invasione ‘cinese’

 

Ricercatori del Cnr di Torino hanno trovato in alcune tartufaie artificiali nel torinese tracce del DNA di una specie esotica e di minor valore, che minaccia il pregiato nero nostrano. Un rischio che si aggiunge ad altri  fattori ambientali che già hanno  causato una

forte diminuzione della produzione negli anni recenti

E' dagli anni 90 che sui mercati europei si trovano in vendita dei tartufi proveniente dall’Asia. Tra questi compare spesso il Tuber indicum, un parente prossimo del tartufo nero nostrano (T. melanosporum), con il quale divide molti caratteri morfologici e genetici, senza tuttavia possederne alcuna particolare qualità organolettica, non sa di nulla e non profuma.

Durante un controllo in una tartufaia artificiale nelle vicinanze di Torino, dove una decina di anni fa erano state messe a dimora delle piantine vendute come micorrizate con T. melanosporum, i ricercatori dell’Istituto per la protezione delle piante (Ipp) del Consiglio nazionale delle ricerche di Torino hanno individuato DNA di T. indicum nel suolo e sulle radici. E' la prima volta che questa specie originaria dalla Cina viene identificata in  un ecosistema europeo e dimostra come questa specie sia stata utilizzata, intenzionalmente o accidentalmente, per inoculare delle  piantine da mettere a dimora in suoli italiani.

 “Ci sono alcuni segnali di allarme da questa osservazione casuale” chiarisce Paola Bonfante dell’Ipp, coordinatrice della ricerca.  Studi recenti hanno mostrato che il T. indicum almeno in condizioni in vitro è più competitivo che il T. melanosporum, e potrebbe quindi prendere il sopravvento. Inoltre, le due specie sono geneticamente molto vicine e potrebbero essere capaci di ibridarsi”.

Su queste basi, si deve considerare T. indicum una potenziale specie invasiva in Italia e in Europa?

“In questo momento, sottolinea la ricercatrice “le specie invasive sono al centro dell'attenzione degli ecologi: esse si espandono rapidamente, sostituiscono le specie  native e hanno un impatto negativo sulla biodiversità della comunità  locale. Al momento non conosciamo l'entità della presenza di T. indicum nel nostro territorio, né possiamo correttamente valutare le conseguenze di questa introduzione; possiamo tuttavia ipotizzare che T. indicum rappresenti un pericolo per il tartufo nero pregiato, aggiungendosi ad altri fattori ambientali che già hanno causato una forte diminuzione della produzione negli anni recenti.

Sono necessarie misure che richiedano accurati controlli di qualità delle piante micorrizate in modo da evitare la disseminazione di specie invasive e la messa in pericolo di aree  così peculiari del nostro territorio come quelle produttrici di  tartufi.

Le metodologie necessarie basate sull'analisi del DNA sono disponibili, affidabili e a portata di qualsiasi laboratorio.

“Negli ultimi 15 anni la biologia molecolare ha dato nuovo impulso agli studi sui tuber", conclude la ricercatrice, secondo cui “le attuali tecnologie basate sullo studio del Dna dei tartufi, hanno fornito soluzioni a problemi più facili da un punto di vista sperimentale, come la loro corretta identificazione, la distribuzione geografica o la variabilità; inoltre l'approccio della genomica funzionale, ci permetterà di attuare strategie per conservare e valorizzare i siti di produzione naturale del tartufo".

Roma, 17 settembre 2008

La scheda:

Che cosa: tracce di dna di tartufo cinese trovate in tartufaie artificiali del torinese 

Chi: Istituto per la protezione delle piante (Ipp) di Torino

Informazioni: Paola Bonfante – Ipp-Cnr, tel. 011/670 5965 – 011/650 2927

e mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.;  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Referenze: Murat C., Zampieri E.; Vizzini, A., Bonfante P.

Is the Perigord black truffle threatened by an invasive species? We dreaded it and it has happened! New Phytol. 2008;178(4):699-702Epub 2008 Apr 2